mercoledì, settembre 19, 2007
Servo suo, paròn
Tali circostanze, in cui lo spontaneo esercizio della carità cristiana cercava conciliare contraddittori elementi di vita, non potevano evitare contrasti fra taluni atteggiamenti e cert'altre condizioni di fatto. In quanto era danaro posto a frutto, lo schiavo doveva essere riguardato sotto l'aspetto della continua e diretta utilità, ed egli era utile infatti finchè era giovane; invecchiando invece fruttava sempre meno, veniva diventando un peso ed allora l'affrancazione riesciva più facile e sollecita. Ma ancora è necessario tener presente una somma di diverse considerazioni per spiegarci al giusto punto il contegno dei vecchi veneziani a tal proposito. È umano che l'interesse materiale fosse ognora prevalente, ma su di esso potevano e la lunga consuetudine che allentava o distruggeva l'iniquità d'una relazione giuridica, contraria affatto allo spirito dei tempi, e il legame affettuoso che tra lo schiavo, non condannato ad obbedire ciecamente e supinamente al padrone, ed il padrone si veniva stabilendo, premio allo schiavo di uno zelo assiduo che riusciva a cattivarsi il benefizio della fiducia e ad attirare su di sè un più vivo senso di pietà ed una giusta estimazione del suo valore personale. Inoltre nel contatto fra i servi liberi e i servi schiavi, conviventi sotto il medesimo tetto, nascevano comunioni di sentimenti che facevano ai vari componenti la famiglia padronale preferire i servizi della schiava fedele e devota a quelli della fantesca loquace, pettegola, talvolta maligna. Dall'affetto e dal particolare gradimento al prezioso dono della libertà personale il passo era breve. Sempre più frequenti andavano facendosi le francationes causa mortis, che liberavano il servo col testamento (pagina testamenti), o per atti fra vivi mediante cartulae libertatis, nelle quali perduravano, benchè spesso prive di senso ne' tempi nuovi, le antiche formule pregiustinianee, conservatesi nei formulari notarili. Vi si diceva, per esempio, che il servo inter liberos vadat cum omnibus heredibus libere quocumque ei placuerit a modo in antea civisque efficiatur Romanus, ita quod nullus eum amplius audeat servitutis vinculo subiugare (65). I manomessi formavano una classe superiore a quella degli schiavi, inferiore a quella dei liberi. I servi stranieri erano però in condizione peggiore di quella degli indigeni: essi erano i veri schiavi. Gli schiavi, comprati dai privati slavi e saraceni (66), erano per la maggior parte tartari, russi, saraceni, mongoliani, bosniaci, greci, de genere Avogassiorum (circassi), de genere Alanorum (67), e si rivendevano, nonostante i divieti e graves poenas contrafacientibus, come scrive Andrea Dandolo, al pubblico incanto a San Giorgio e a Rialto. Le donne circasse, georgiane e delle regioni circonvicine, giovani di dodici, quattordici e sedici anni, dichiarate sane delle loro membra e prive di magagne occulte e manifeste (68), teneri fanciulli, uomini maturi erano venduti, nel secolo XIV, ad un prezzo che andava dai sedici ducati d'oro, pari a lire trecentottantadue circa, agli ottantasette ducati, pari a lire duemilanovantatrè (69). La Chiesa, nonostante tutte le condanne minacciate, lasciava correre, e la pratica del notariato veneziano, che sì a lungo lasciò agli ecclesiastici questo delicato ufficio, metteva costoro in contraddizione con la loro coscienza, e li spingeva a partecipare a quel traffico inumano che i canoni dei concili e le disposizioni curiali severamente proibivano."
Aigor's BloG (Igor? No, Aigor!)
"Dei barbari afferrano questo cane, che supera tanto l'uomo in amicizia; lo inchiodano su una tavola, e lo sezionano vivo... Rispondimi, meccanicista, la natura ha forse sistemato tutte le molle
del sentimento in quest'animale perche' non senta?" (Voltaire)
Ciao Rex!